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03 aprile 2004 - Roberto Biscardini- intervento 3° Congresso Nazionale SDI
Tutti i compagni sono animati da due aspirazioni: costruire per iniziativa dello SDI una fase politica nuova, chiarire e superare le incertezze che questa nuova fase potrebbe portare con sé.
Dopo anni in cui la sinistra e il centrosinistra sono stati riconosciuti dall’opinione pubblica più per la maledizione delle loro divisioni, che non per la capacità di trovare insieme momenti di unità, la lista unitaria per le europee rappresenta certamente una grande speranza per quel popolo dell’Ulivo che si è riconosciuto in quel progetto prima ancora che nei partiti del centrosinistra.
La lista unitaria alle europee può avere un grande successo, può intercettare il bisogno di unità e ci obbliga a parlare di Europa in un momento in cui l’opinione pubblica ne sente sempre più bisogno.
Per affrontare le questioni dello sviluppo e dell’economia, per contare di più sul piano internazionale, per garantire la pace e rafforzare la sicurezza di tutta l’Europa di fronte al grave pericolo del terrorismo.
Per questo speriamo che possa ottenere un risultato molto maggiore della somma dei partiti che la compongono.
Ma è opportuno sottolineare come la lista unitaria per le europee, da noi denominata “riformista”, rappresenta l’inizio di un processo di riorganizzazione della sinistra per separare l’area riformista da quella radicale e massimalista.
Ciò è profondamente diverso dal progetto originario prospettato da Prodi di riunire in una unica lista tutti i partiti dell’Ulivo. La lista riformista separa, la lista dell’Ulivo aveva come obiettivo di riunire tutti.
Ma il tema di questo congresso non si ferma qui. Lo slogan è: dopo la lista il partito, e ciò obbliga ad altre considerazioni.
La lista è una cosa, il partito è un’altra e il partito riformista è un’altra cosa ancora dal partito socialista.
Questo è il punto. Mentre collochiamo la nostra prospettiva nell’orizzonte europeo, bisogna avere il coraggio di riconoscere che in Europa non c’è una formazione di generici riformisti.
In Europa non c’è l’Ulivo, ci sono i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti e anche nei momenti di maggiore difficoltà nessuno considera il socialismo come qualcosa da superare.
Nel partito del socialismo europeo, si riconoscono tradizioni e culture diverse, cristiane e liberaldemocratiche, alla destra in Europa si contrappone la sinistra riformista, socialista e socialdemocratica, e vorremmo che un giorno possa accadere anche da noi.
Anche in Italia solo il termine socialista può proiettare un partito riformista nell’orizzonte della politica europea.
Oggi molti riconoscono che il socialismo e le nostre idee hanno vinto, non solo sul piano storico, ma anche su quello politico. Se ciò è vero, non c’è alcun bisogno di abbandonare il nome socialista, non dobbiamo abbandonare il marchio ed è sbagliato che siano altri a vendere il nostro prodotto.
Questa non è un’idea vecchia. Questa è la questione socialista e questo deve essere il nostro modo di guardare al futuro collocando la prospettiva del partito riformista nella tradizione, nell’identità e nella politica socialista.
Così come in occasione della lista, abbiamo lavorato per perimetrale lo spazio riformista rispetto a quello radicale, il nostro progetto politico deve puntare ad una nuova riperimetrazione del riformismo socialista per far nascere anche in Italia una forza del socialismo europeo. Sono, infatti, maturate nel Paese le condizioni, al di là dei nostri meriti, perché il termine socialista possa crescere presto di pari passo con quello riformista.
Per noi non c’è contraddizione tra una forza riformista e la costruzione di una forza socialista.
Per noi non c’è contraddizione tra l’idea di un partito riformista, espressione del socialismo democratico, e la ricerca di una nuova unità dei socialisti che in esso dovrebbero riconoscersi.
Il riformismo è una parola vaga, quella socialista no, essa appartiene alla sinistra ed in Europa rappresenta il riferimento politico di un partito.
Se il riformismo non è solo un metodo di lavoro, ma anche una politica, ha bisogno di un progetto e di un programma, di idee chiare e semplici e deve essere capace di affermare i valori del laicismo, del garantismo e della democrazia, contro ogni forma di conservatorismo di sinistra. Cosa che oggi i riformisti non riescono ancora a fare.
In Italia, molti si dicono riformisti, ma non c’è una politica riformista, anzi la sinistra è debole perché porta con sé il retaggio di una politica che si è sempre mossa contro il riformismo.
Quindi basta con i soldi alle imprese che delocalizzano, no ad una generalizzata riduzione delle aliquote Irpef, sì alla riduzione fiscale per i ceti più deboli e per quelli medi, oggi troppo “ricchi” per ottenere agevolazioni e troppo “poveri” per stare da soli sul mercato.
Sì alla riduzione fiscale sugli investimenti per favorire una politica di sviluppo, no ad un sistema bancario che sta affamando l’economia del Paese, non tutela i risparmiatori, favorisce l’indebitamento del comparto pubblico senza riscontri chiari sugli interessi per la collettività.
No alla privatizzazione delle aziende pubbliche senza liberalizzazioni, no alla privatizzazione della sanità e della scuola.
No alle società pubbliche che, invece di garantire servizi, giocano in borsa e perdono investendo nei bonds della Cirio.
Una politica riformista deve preoccuparsi della qualità dell’occupazione e della disoccupazione dei giovani, come dei meno giovani estromessi dal lavoro senza possibilità di rientrarvi pur avendo un’alta professionalità.
Dobbiamo utilizzare gli aspetti positivi della flessibilità evitando che sia vissuta solo come precarietà.
Una sinistra riformista deve farsi carico di una politica economica fondata sull’innovazione e sulla ricerca.
La nostra concezione non è lo statalismo, ma implica l’intervento delle istituzioni nell’economia.
Per quanto riguarda le politiche sociali è prioritario ridurre le aree del disagio che attraversano ceti diversi, ma non si può continuare a finanziare attraverso il prelievo fiscale una spesa pubblica crescente in un contesto di limiti nazionali e sovranazionali.
Il partito del riformismo socialista è dalla parte dei diritti e della libertà, contro ogni forma di discriminazione, di etnia, di sesso, di religione e di cultura.
Insieme a tante forme di ingiustizia, quella della limitazione delle libertà individuali, che non consente la crescita dei diritti civili, è ancora la più pericolosa.
Per quanto riguarda lo sfascio istituzionale, bisogna ammettere che i pericoli, che si stanno correndo con le recenti proposte di modifica costituzionale, sono i pericoli che nei comuni e nelle regioni conosciamo già e purtroppo a causa di leggi non volute solo dal centrodestra.
Infine c’è la crisi della classe dirigente, che ormai è solo occupante, che non dirige, che dipende da interessi e poteri più o meno forti. Anche questa è una grande questione politica.
Per tutte queste ragioni, non dobbiamo rinunciare ad essere quel che siamo e dobbiamo evitare di dare ai compagni dello SDI la sensazione che le nostre sorti siano nelle mani di altri o del solo risultato elettorale.
Dopo il 13 giugno bisognerà evitare di trovarci in una situazione confusa, magari in una struttura federativa, a metà strada tra un nuovo partito che c’è e non c’è e il nostro che vogliamo ancora rafforzare.
Ciò ridurrebbe la nostra capacità di iniziativa e non ci consentirebbe di marcare le necessarie differenze politiche anche quando occorre farlo.
Per questo insieme ad Alberto Benzoni e ad Antonio Landolfi ho presentato un documento di riflessione politica per riassumere le aspirazioni di molti compagni, guardando ben oltre la data del 13 giugno.
È un documento sul quale non dobbiamo né contarci né dividerci, ma è la prova che i riformisti non hanno per definizione paura del dibattito e del confronto.
Sanno crescere utilizzando al meglio le diverse opinioni e si arricchiscono nella dialettica .
Dopo le elezioni europee, saremo tutti qui insieme, faremo il bilancio del nostro lavoro e potremo definire la nostra iniziativa per lo spazio temporale dei prossimi due anni, fino al 2006.
Se alle elezioni europee registreremo i primi cedimenti della destra, le responsabilità aumenteranno e la necessità di una sinistra di governo sarà ancora più forte. Faremo i conti con nuovi scenari e nuovi equilibri politici.
Fiuggi, 3 aprile 2004 torna indietro »
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