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Documento Politico - Roberto Biscardini, Alberto Benzoni, Antonio Landolfi- 3° Congresso Nazionale SDI -FIUGGI 2004-
1. Premessa
Questo documento, che non vuole essere oggetto di divisione congressuale, rappresenta un contributo alla riflessione sui temi che hanno caratterizzato maggiormente la politica dello SDI dal Congresso di Genova ad oggi.
L’obiettivo è tenere aperto un dibattito su questioni e interrogativi che riguarderanno la vita del partito anche dopo le elezioni europee e sulle quali si registrano opinioni e valutazioni differenti.
2. Perché il Congresso
Affinché il Congresso nazionale del partito non si riduca ad un momento di carattere celebrativo, preelettorale e d’immagine, è opportuno che la discussione e la proposta politica siano proiettate nello spazio dei due anni che ci separano dalle elezioni politiche del 2006, indicando con chiarezza la prospettiva sulla quale lo SDI intende muoversi e quali obiettivi intende perseguire.
Il significato della lista unitaria alle europee, la costruzione di un nuovo soggetto politico (federazione di partiti o nuovo partito unico) messa nelle mani dal risultato elettorale del 13 giugno e il futuro dello SDI, sono solo alcuni degli argomenti del documento congressuale che meritano un confronto serio tra tutti i compagni.
3. Lo SDI, l’identità socialista e la questione socialista
Il nostro partito sta vivendo un profondo mutamento di identità e di linea politica. Sino al 1999 siamo stati i garanti dell’eredità storica e politica del socialismo italiano - esperienza craxiana compresa - sino al punto di considerare il recupero della diaspora (e in particolare di quella che era andata a destra) come premessa necessaria per le nostre future iniziative.
Dal 2001 in poi questa linea è stata fortemente ridimensionata ed oggi non ci sarebbe più una questione socialista, come passato da difendere, identità da preservare, cultura da proporre e da aggiornare. Ci sarebbe invece soltanto una questione riformista (peraltro ancora molto confusa) e c’è un partito lo SDI, la cui identità viene mantenuta solo a livello locale e in funzione strumentale ai fini della composizione della lista nazionale dell’Ulivo.
A questo punto è lecito chiedersi che cosa giustifichi e cosa motivi un mutamento di prospettiva così radicale e così rischioso.
Se è vero che la vecchia linea rischiava di non andare oltre ad un politica autoreferenziale, rivolgendosi più agli ex socialisti che non agli elettori, e se è vero che questa linea non ci ha fatto andare oltre il 2-2,5%, è anche vero che questo limite poteva essere superato. Per superarlo bisognava esplicitare non a parole, ma nelle iniziative, negli strumenti e negli obiettivi, che l’autonomia politica dei socialisti era ed è uno strumento essenziale per cambiare una sinistra che non ci piaceva e non ci piace.
Questo è il problema che dovremmo affrontare anche oggi e che giustifica ampiamente la riproposizione di una identità socialista, non come realtà ideologica, ma esigenza politica.
Purtroppo il messaggio che rischiamo di trasmettere anche attraverso questo congresso è di segno diverso.
Volendosi allontanare sempre più dal passato, e mettendo persino in discussione l’attualità dell’Internazionale socialista e la credibilità della socialdemocrazia europea, diamo sostegno all’idea che lo SDI non abbia più fiducia nella prospettiva della costruzione di un nuovo partito socialista. Con ciò perdendo uno degli obbiettivi fondamentali della nostra esistenza. E peggio ancora, lasciamo intendere che tra identità socialista e progetto riformista c’è incomunicabilità se non addirittura incompatibilità.
In realtà è esattamente il contrario.
Il “riformismo” è parola vaga (non ha caso appartiene a tutti, sino ad essere bandiera dei governi di centro destra in tutta Europa), mentre il “riformismo socialista” o dei socialisti è qualcosa di molto reale. Appartiene alla sinistra e rappresenta lo spazio politico di un partito. Ecco l’attualità della questione socialista.
4. La funzione dello SDI per la costruzione di una nuova formazione autonoma del socialismo italiano
Punto essenziale della discussione è la conferma o meno della volontà del partito di dar vita ad una formazione autonoma del socialismo italiano nella sinistra.
Le ragioni fondamentali per cui è nato lo SDI, che abbiamo con insistenza ripetuto in tutti questi anni, fino al documento della Direzione del luglio scorso, sono a nostro avviso tuttora valide e attuali. Esse sono sempre state sintetizzate con l’obiettivo di costruire una forza autonoma del socialismo italiano nel quadro più vasto di una necessaria ristrutturazione della sinistra. Una linea che non abbiamo mai pensato di poter perseguire da soli, che non ha avuto i caratteri della “rifondazione socialista” e che implicava l’unità di tutti coloro che credono nell’attualità e nel futuro del socialismo.
Una posizione di autonomia socialista nell’ambito del socialismo democratico e riformista con l’obiettivo di portare i riformisti (liberaldemocratici e cristiano sociali, così come spesso é accaduto in Europa) nell’alveo naturale del socialismo europeo. Portare i riformisti nella casa socialista e non viceversa, è un obiettivo tuttora valido ed attuale, oggi in condizioni migliori rispetto a ieri.
Al di là del loro peso elettorale, i socialisti sono sempre stati protagonisti e promotori di importanti processi di cambiamento. Hanno segnato i passaggi storici e con la forza della propria identità e metodo riformista, hanno coniugato gradualità e innovazione.
Pur in un quadro molto critico della politica italiana ed in condizioni ancora più difficili, i socialisti italiani possono ancora oggi avviare un processo per ridare al Paese una forza socialista e per rinnovare la democrazia politica.
Dopo dieci anni di anomalie, i socialisti possono proporsi come forza nuova, ricercando l’unità di tutti coloro che credono nel socialismo, nelle riforme che producono profondi cambiamenti, credono nelle riforme utili e nell’importanza storica del socialismo italiano ed europeo.
Una forza nuova che sa contrapporre alla semplificazione del modello bipolare e all’incultura dell’antipolitica la cultura di governo e la capacità di affrontare in modo nuovo e concreto i tanti problemi che affliggono il Paese.
5. Il partito riformista e il partito socialista
Le differenze tra il riformismo socialista, inteso come capacità di coniugare riforme e cambiamenti riconoscendo un ruolo ed una funzione al sistema delle istituzioni, e tra un generico riformismo, inteso come metodo di governo sia di una certa destra come di una certa sinistra, sono state e rimangono differenze profonde.
Il riformismo socialista, e solo quello, coma ha ricordato giustamente Giuliano Amato, non è la destra della sinistra.
Per questa ragione è diverso proporre un partito riformista che si fonderebbe sull’Ulivo come “simbolo dell’innovazione, dell’unità e delle riforme” e prospettare la costruzione di un partito socialista e socialdemocratico moderno.
La prima ipotesi da per scontata una sorta di “pensiero unico” del riformismo (assolutamente inesistente) ed una omogeneità politica delle diverse identità di DS, Margherita e SDI. Questa prospettiva, come si capisce anche dal documento Prodi per l’Europa, implica un ridimensionamento sostanziale del riformismo socialista rispetto a quello liberaldemocratico e a quello cristiano sociale.
La seconda, quella del partito socialista, ammette l’alleanza dei partiti nell’Ulivo, esaltando però in positivo le diverse identità.
Il centrosinistra italiano e la crisi della sinistra non hanno bisogno di un partito riformista in cui il socialismo si appiattisce al centro, ma di un grande partito della sinistra democratica.
Il partito riformista unico è fuori dall’esperienza internazionale ed europea, pretende la contaminazione di storie e di culture diverse dentro un contenitore generico. Il partito socialista implica invece, nello schema europeo, l’adesione di culture diversa al riformismo socialista.
Invocare il riformismo senza l’aggettivo socialista lascia del tutto aperta non solo la questione socialista, ma la prospettiva della ricostruzione a sinistra di un nuovo partito socialista. Questione che si riproporrà anche dopo il 13 giugno e che verrà affrontata da altri, se lo SDI lascerà del tutto libero questo spazio.
Infine, il riformismo senza aggettivi non può rappresentare un altro tassello della ormai famosa anomalia italiana.
Questa anomalia non sarà facilmente esportabile e in Europa non saranno certo pronti a farla propria. In Europa non c’è l’Ulivo, non ci sono i rasseblemant, ci sono i partiti. Per quel che ci riguarda ci sono i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti con le loro politiche e le loro strategie, con i loro alti e bassi, con tanti problemi forse, ma certamente distanti dalla dimensione “ulivista” o “riformista” del caso italiano.
In questo senso non solo è necessario riaffermare l’adesione degli eletti dello SDI al gruppo del socialismo europeo, ma bisogna anche evitare di apparire come i sostenitori di un nuovo gruppo europarlamentare progressista per farci stare a tutti i costi tutti gli eletti della lista unitaria.
In conclusione, nessun documento congressuale può negare l’utilità e la specificità del riformismo socialista e di un partito socialista in Italia.
6. La sinistra o è socialista o non è
Trasformare il riformismo da mezzo in fine, rischia di rendere ambigua qualunque prospettiva e indebolisce il ruolo che i socialisti possono avere nel superamento della crisi della sinistra italiana.
Affermare, come si fatto in questi anni, che alle difficoltà della socialdemocrazia europea bisogna rispondere andando oltre la stessa socialdemocrazia, ha indebolito dentro la sinistra la nostra iniziativa non contribuendo ad affrontarne la crisi.
Una sinistra che non trova nel socialismo il suo punto di riferimento e che con esso non si identifica, è destinata a perdere, sia storicamente che politicamente.
Questo è il nostro vero punto di forza: la sinistra uscirà dalla crisi quando avrà fatto propri i contenuti nuovi di una politica socialista sul terreno dei diritti e della giustizia sociale, ritrovando nelle risposte concrete le sue ragioni.
La sinistra e il centrosinistra, che pur hanno bisogno di una ristrutturazione, non potranno trovare risposta alle loro difficoltà solo nei risultati elettorali, che pur la lista unitaria può favorire.
Deve per vincere, essere credibile sul terreno della cultura di governo con proposte forti e convincenti, per affrontare in modo deciso la crescente crisi economica, produttiva, finanziaria, sociale ed istituzionale.
In questo senso i socialisti hanno un ruolo importante da svolgere non solo prospettando una sua diversa articolazione interna della coalizione, ma attraverso la politica, affinché attraverso una politica socialista si possano dare risposte concrete alla domanda di giustizia e di sviluppo economico e sociale del Paese.
7. La lista riformista e la lista “Uniti nell’Ulivo”
La lista “Uniti nell’Ulivo” è quel che rimane dell’originaria proposta di Romano Prodi di riunire in occasione delle elezioni europee in un´unica lista tutti i partiti dell’Ulivo.
Questa lista non è quindi la “lista riformista” per come è stata proposta dallo SDI, come primo passo di una riorganizzazione dell’Ulivo in due aree ben distinte, quella riformista e quella radicale e massimalista. Essa appare di più, come dice oggi Prodi, l’inizio di un percorso di unificazione di tutti i partiti dell’Ulivo, puntando ad avere con lui, pur in un secondo momento anche quelli che oggi non hanno aderito.
La questione non è nominalistica. Non lo è perché siamo agli inizi di un processo la cui conclusione dovrebbe per alcuni (non per tutti) portare alla costituzione di un nuovo partito: un partito “riformista” o “democratico”, come superamento e sintesi delle culture e delle organizzazioni “storiche” del centrosinistra.
Auspicabile o no, questa prospettiva, non affatto scontata, avrà nel nome la natura del progetto. E allora dobbiamo chiederci perché la parola “riformista” suscita tante resistenze? Perché non è stata scelta come elemento della caratterizzazione della lista? E perché la maggioranza dei partecipanti al progetto preferisce far riferimento all’Ulivo, a Prodi e persino al termine “riformatore” piuttosto che riformista.
La risposta è semplice. “Riformista” definisce e quindi separa. Separa una parte del centrosinistra da un’altra più radicale e più esattamente fondamentalista.
Il riferimento all’Ulivo e a Prodi si muove invece in una prospettiva del tutto diversa: quella dell’unità o meglio della ricostituzione dell’unità.
Questa linea, prevalente all’interno dell’Ulivo, e sostenuta dallo stesso Prodi, contrasta radicalmente con la prospettiva riformista e andrebbe da chi crede nel partito riformista persino contrastata.
8. Perché uniti in Europa e divisi a livello locale
Se la “lista unitaria” è qualcosa di più di un’alleanza elettorale per le europee, prima tappa di un disegno strategico, non si capisce perché questa alleanza non sia sostenuta anche in occasione delle elezioni amministrative. Questa strana dicotomia secondo la quale a livello nazionale si indica una strategia politica, non sostenendola a livello locale, mette le strutture locali dei partiti in una posizione di inferiorità e nell’impossibilità di spiegare con chiarezza il senso di questa vicenda.
Come dire: “a Roma si fanno i grandi disegni, in periferia ci si deve contare”.
Essere nello stesso giorno alleati per le elezioni europee e divisi per le amministrative, si giustifica solo ammettendo che i partiti che hanno promosso la “lista unitaria” hanno ancora bisogno di un terreno sul quale contarsi separatamente. Dall’altro, chiedere alle strutture locali dei partiti di garantire con il voto separato la difesa dei rispettivi simboli, ha senso solo ammettendo che quel voto amministrativo è la vera “ancora di salvezza” nel caso di un eventuale fallimento della “lista unitaria”.
9. Prodi come premier e non come leader
Tra tante cose dette, quella che appare più forzata riguarda l’ipotesi che la “lista unitaria” possa rappresentare non solo la prima tappa di un unico partito riformista, ma addirittura la prima tappa di un partito personalizzato attorno a Prodi.
Il passaggio dalla lista riformista (sostenuta per la verità quasi esclusivamente dallo SDI) al simbolo “Uniti nell’Ulivo” non è stato indolore, ma ancor peggio sarebbe considerare il passaggio dalla cosiddetta “lista Prodi” al partito di Prodi, obbligando così la sinistra a morire dichiaratamente “centrista”.
Se Prodi, per decisione unanime, sarà indicato come premier della coalizione e dell’intero schieramento di centrosinistra, ciò non potrà fare automaticamente di Prodi né il leader di un partito, né tanto meno il leader di un partito socialista.
10. Tutelare il Partito e marcare le differenze
Bisogna evitare di dare ai compagni la sensazione che le sorti dello SDI siano ormai nelle mani di altri: nelle mani del risultato elettorale delle europee o delle decisione che verranno assunte da DS, Margherita e Prodi dopo il 13 giugno. Bisogna evitare di dare la sensazione che stia maturando nel partito la convinzione che non sia più attuale la prospettiva di un partito socialista autonomo.
D’altra parte, sul terreno politico, bisogna evitare che lo SDI dichiari a priori la disponibilità ad attenersi, anche su questioni fondamentali alle decisioni che verranno assunte (si presuppone a maggioranza) nella lista Prodi.
La trasformazione di fatto della lista per le europee in un sorta di organismo politico, che condiziona le scelte dei partiti che vi aderiscono, fino a ridurre la sovranità dei loro organi politici, è l’esempio evidente di un pericolo che lo SDI, in quanto forza minoritaria, corre più di altri.
Proprio mentre si prospetta un alleanza prima elettorale e poi politica con altre componenti dovrebbe essere ancora più importante marcare le differenze politiche. Ciò vale sulle grandi questione che coinvolgono le scelte di principio, come su tutte le altre che in questi anni hanno consentito allo SDI, pur in una condizione minoritaria, di far valere la propria identità e le proprie posizioni nel centrosinistra. torna indietro »
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