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06 febbraio 2003 - Articolo per Avanti,di Roberto Biscardini, Crisi in Regione Lombardia
Che la crisi rientrasse era cosa evidente, perché nessuno dei due contendenti principali, berlusconiani da una parte e Formigoni dall’altra, aveva il minimo interesse ad andare al voto anticipato.
Ma la crisi non è chiusa. Tutte le ragioni che l’hanno prodotta, maturate peraltro nel corso di almeno due anni, sono tutte ancora presenti. Anzi, la modalità con la quale si è chiusa, la ricerca estenuante di un accordo sulle parole e sulle virgole di un documento politico, dimostrano che la crisi è politica e che lo scontro di potere per qualche posto in più, da una parte o dall’altra, non è la causa ma l’effetto di una crisi più grande che riguarda l’identità e le contraddizioni interne a Forza Italia.
Ma anche questa non dovrebbe essere più una novità. Così come Berlusconi ha perso gran parte dei suoi diciotto mesi a Palazzo Chigi per risolvere problemi interni (allontanamento di Taormina, dimissioni di Renato Ruggiero, interim obbligato al Ministero degli Esteri, fuoriuscita di Vittorio Sgarbi, dimissioni di Scajola, nomina di Frattini, balletto di sottosegretari, etc.), così Forza Italia anche in sede locale deve dedicare tempo alle proprie divisioni, aggravate in Lombardia dallo scontro tra la logica di Mediaset e quella di Comunione e Liberazione.
Alla crisi di Forza Italia si aggiunge il malessere sempre più evidente tra i partiti della coalizione. Da un lato sentono il pericolo del venir meno di un consenso elettorale intorno al cosiddetto modello lombardo, dall’altro la Lega ha bisogno, per soddisfare il proprio elettorato, di una politica sociale che Forza Italia non gli consente (da qui lo scontro interno sui ticket della salute) ed è innervosita dalla politica meridionalista e clientelare di AN (un ponte sullo Stretto di Messina per la Lega non è facile da digerire).
Ma c’è un aspetto della crisi, certamente il più importante, che riguarda tutti. Questa crisi infatti è figlia di un sistema elettorale ed istituzionale confuso, che non regge, che mortifica i Consigli regionali sul terreno della democrazia e mette i Presidenti delle Giunte, al di là della loro arroganza individuale, in una condizione istituzionale perlomeno contraddittoria.
Da un lato c’è l’elezione diretta dei Presidenti delle Giunte che credono di poter governare in un sistema di tipo presidenziale ma che presidenziale non è.
Dall’altra c’è una forma di governo sostenuta da un sistema elettorale dei Consigli, discutibile, ma comunque perfettamente parlamentare. Le due cose insieme non reggono e non garantiscono quella governabilità per cui sono state introdotte.
Per questa ragione la crisi rimarrà sostanzialmente aperta così come potrebbe estendersi in modo latente anche in altre Regioni d’Italia.
La proposta dei socialisti è una sola: si faccia un patto bipartisan tra maggioranza e opposizione e tutti i partiti si impegnino nel più breve tempo possibile a scrivere il nuovo Statuto e la nuova legge elettorale.
Poi si vada al voto, magari nel 2004 in coincidenza con le altre elezioni amministrative.
Milano, 6 febbraio 2003 torna indietro »
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