|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
07 maggio 2002 - Lo Statuto dei lavoratori di fronte ai nuovi problemi del lavoro.
Cari amici, cari compagni, non ripeterò alcune considerazioni peraltro molto dettagliate e molto pertinenti che sia Carlo Smuraglia, sia Antonio Pizzinato hanno già portato alla nostra attenzione. Mi riferisco all’analisi delle possibili ricadute che i provvedimenti proposti dal governo, Libro bianco e legge delega, avrebbero sull’organizzazione e sul mercato del lavoro nel nostro paese, con l’obiettivo preciso di modificare i rapporti di forza tra le parti sociali. In gioco c’è la riforma dei diritti dei lavoratori ma non solo, ci sono questioni che attengono alle condizioni di vita della maggioranza degli italiani ed altre che coinvolgono la democrazia.
L’introduzione di Antonino Crò, che ringrazio per avermi invitato, mi consente per la sua ampiezza di stare al tema di oggi limitandomi a poche considerazioni di carattere generale, cercando di indicare quali potrebbero essere i possibili sbocchi politici.
Da socialista ho sempre sentito il peso di una tradizione che fin da giovane mi è stata trasferita sotto forma di uno straordinario orgoglio: quello di essere parte di un partito che ha avuto tra i suoi più autorevoli esponenti il padre dello Statuto dei lavoratori, Giacomo Brodolini.
Questa consapevolezza ha caratterizzato i nostri anni ’70 nel PSI, ma bisogna rendersi conto che pur essendo noi socialisti i primi a sentire il dovere di difendere quello Statuto, già negli anni ’80 si discuteva introno alla necessità che quello Statuto fosse integrato e modificato per adeguarlo a nuove esigenze, pur rispettandone i principi e i suoi significati di fondo.
Erano gli anni nei quali nel mondo del lavoro entravano nuove figure, erano gli anni sulla discussione circa il ruolo positivo o negativo del part-time. Erano gli anni delle prime grandi trasformazioni industriali e quindi delle prime grandi trasformazioni nell’organizzazione del lavoro. Tenendo conto che il passaggio dal sistema industriale a quello terziario fu un fattore di straordinari cambiamenti.
Oggi basterebbero i dati che qui ci ha riportato Carlo Stelluti per rendersi conto che la questione della modifica dello Statuto dei lavoratori, per estendere i suoi effetti a tutti coloro che non sono tutelati, è diventato un problema oggettivo per tutti, che deve essere affrontato anche dalla sinistra costruttivamente e in modo propositivo, con senso di responsabilità e senza ritardi, da un punto di vista autonomo, per non subire quello padronale e quello confindustriale.
Insomma, io non sto dalla parte di coloro che sostengono che la realtà vada affrontata per quella che è. Più di venti anni fa nel mio partito, nella sede socialista di Viale Lunigiana, si discuteva intorno all’esigenza di modificare quello Statuto ritenendo che già allora fosse il momento di intervenire.
Questa è la prima questione che per onestà intellettuale ho il dovere di porre perché è nella cultura riformista ragionare per migliorare, riformare e non per conservare.
Questa è stata sempre anche la cultura del sindacato italiano che se non si è mai nascosto dietro le difficoltà ed ha utilizzato anche il dialogo ed il confronto come strumenti politici per vincere le proprie battaglie.
L’altra faccia della medaglia di questo ragionamento sta nella considerazione che la sinistra italiana ha maturato su questo tema almeno vent’anni di ritardo e oggi si trova a dover sostenere una battaglia in condizione di maggior debolezza rispetto ad allora. I rapporti di forza a sinistra oggi sono più sfavorevoli di un tempo e quindi anche la battaglia parlamentare e il conflitto sociale saranno indubbiamente molto più duri. A questo si aggiunge un processo di formazione delle decisioni e delle leggi, da parte del nuovo governo, che sta superando il confine delle normali regole democratiche. Il centrodestra ha introdotto metodi nuovi e incontrollabili: il governo usa le leggi delega per svuotare i poteri parlamentari, così come la Regione usa i commissariamenti per non affrontare le riforme attraverso il normale iter legislativo. Non è questa la sede giusta per approfondire questi problemi, ma non vi è dubbio che anche la questione di cui stiamo discutendo è inficiata da un modo scorretto con il quale l’attuale maggioranza di governo gestisce le istituzioni e il rapporto politico fra istituzioni e parti sociali. Naturalmente non bisogna mettere limiti alla provvidenza e non possiamo escludere che su un tema come questo si aprano nella maggioranza prima o poi alcune fratture, che potrebbero dare alla vicenda uno sbocco positivo, meno doloroso e socialmente meno costoso.
Non sarebbe peraltro la prima volta che sulle vicende del lavoro si verificano cambiamenti di rotta ed anche a livello parlamentare si registrano convergenze impreviste. Nemmeno in occasione dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori di Brodolini d’altra parte le cose andarono in modo lineare: la maggioranza di governo anche allora non fu compatta e quel provvedimento passò con la forza delle idee ritrovando in Parlamento un voto utile.
Certo oggi non ci sono i socialisti al governo e non c’è un partito socialista in grado di rappresentare come allora un punto di equilibrio tra forze politiche e di interessi diversi, ma se tutti insieme ritroviamo la capacità di portare nel paese una proposta riformista e moderna non è detto che alla fine la parte più vecchia del mondo padronale non sia sconfitta.
Ricordiamoci che allora il Partito Comunista italiano all’opposizione si astenne, commettendo contemporaneamente un grave errore politico ma consentendo ai socialisti di superare la diserzione dal voto di una parte consistente della destra democristiana. Insomma non dimentichiamo che quello Statuto passò sulle gambe di una contraddizione utile.
Sono partito da qui per collegarmi da un lato alle cose dette con buonsenso dall’assessore Cosma Gravina, ma anche per recuperare lo spirito dell’intervento di Smuraglia che condivido, nel quale veniva posto il tema di come possa una minoranza parlamentare impedire, correggere, modificare e magari vincere rispetto ad una politica di governo che assolutamente non condividiamo. Certo in queste condizioni conterà molto la mobilitazione di massa dei lavoratori e la capacità di trovare nel percorso alleanze larghe nella società, per ricomporre interessi facendo di questa questione e di questa battaglia, una battaglia di civiltà e di progresso.
Mai come in questo caso bisognerà mettere in campo le doti del riformismo italiano, quindi la cultura della concretezza, fuori da schematismi e da ideologie che spesso hanno offuscato l’azione coerente della sinistra.
Bisogna partire dalla convinzione che oggi c’è bisogno di una forte capacità progettuale per affrontare e governare una situazione che nel mondo del lavoro è completamente diversa da quella di dieci anni fa. La fotografia che Stelluti ha dato dell’attuale situazione obbliga infatti ad affrontare i cambiamenti che sono intervenuti in modo nuovo e con criteri diversi.
Quante volte per esempio abbiamo sentito rivolgere, da molti settori della sinistra, pesanti critiche all’esperienza laburista inglese? Quanti nella sinistra ancora oggi pensano che Tony Blair sia passato alla destra? Di questo passo, con questi gravi errori di valutazione e con questo retroterra antagonistico, non si fa molta strada e non si va da nessuna parte. La sinistra non può non vedere ad esempio come il moderno governo laburista inglese e Tony Blair, sedicente moderato e sedicente di destra, abbiano realizzato riforme a favore dei lavoratori che neppure noi osiamo rivendicare nel nostro paese.
Uno dei primi provvedimenti di Blair è stato il salario minimo garantito ed un altro provvedimento ha comportato non la privatizzazione delle aziende pubbliche ma la loro trasformazione in public company per ridare ai lavoratori sottoforma di azioni ciò che collettivamente attraverso lo Stato avevano contribuito a realizzare. In Inghilterra il 50% delle azioni delle Poste sono nelle mani dei lavoratori e anche la British airways è una public company.
Sul tema dei diritti dei lavoratori nell’epoca della globalizzazione, che è il tema di oggi, vorrei solo far notare che nella sinistra e persino nel centrosinistra non c’è attualmente un giudizio univoco su che cosa sia la globalizzazione e quali effetti possa determinare nella vita dei cittadini: c’è chi nella sinistra va alle manifestazioni dei no global a Genova e c’è chi dice che non bisogna andarci. E ciò è già di per sé grave.
Massimo Salvadori ha scritto recentemente un testo che può venirci in aiuto e afferma: “la globalizzazione, che trasforma la nostra esistenza in modo paragonabili a quelli dell’industrializzazione, rilancia, a mio avviso, il ruolo di un socialismo rinnovato avente quale scopo l’ordine nella democrazia e nella giustizia sociale. Ed è proprio perché le nuove oligarchie minacciano al contempo democrazia e giustizia sociale che la socialdemocrazia mantiene la sua vitalità. Ma certo la socialdemocrazia deve puntare all’innovazione e allo sviluppo, liberandosi dalla tentazione di essere lo scudo protettivo di interessi tradizionali e corporativi”.
Si tratta quindi di accettare la globalizzazione anche per gli effetti che essa avrà nell’organizzazione del mondo del lavoro, nella convinzione che sia possibile governarla e nella convinzione che un processo inevitabile come questo possa essere utilizzato in senso positivo anziché in negativo. Si tratta per noi socialisti di guardare alla globalizzazione come ad un’occasione importante per rinnovare e modernizzare la politica di tutte quelle forze che si richiamano ai valori della socialdemocrazia.
Infatti la socialdemocrazia, che deve identificarsi con l’innovazione e la modernità, non può, pur in quadro di estensione delle tutele dei lavoratori, non affrontare bisogni ed esigenze nuove.
Ciò significa che bisogna avere un grande progetto innovatore e nello stesso tempo attrezzarsi per combattere le battaglie giuste. Ciò significa che nonostante questo bisogno estremo di cambiamento e questa profonda consapevolezza nei prossimi mesi faremo bene a non lasciare solo il sindacato dei lavoratori e faremo bene a schierarci con decisione contro l’attuale governo che sta usando l’arma dell’articolo 18 dello Statuto non per affrontare le questioni del lavoro ma per sferrare contro il sindacato un attacco pressoché mortale.
La battaglia che i sindacati si stanno apprestando a fare è quindi una battaglia necessaria, che va sostenuta. Essa rappresenta un punto fermo per non consentire che il rapporto di lavoro sia ridotto ad un rapporto individuale tra un soggetto forte, il padronato, e il singolo lavoratore lasciato solo, senza sindacato, in balia della propria debolezza.
Dobbiamo stare dalla parte di chi non vuole la modifica dell’articolo 18 ma contemporaneamente dobbiamo essere coscienti che quasi la metà dei lavoratori, oggi nel nostro paese, ha un’occupazione in ragione di un contratto cosiddetto atipico ed individuale, con tutele ridotte rispetto a quelle dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e senza essere sostanzialmente tutelati dallo Statuto dei lavoratori in vigore.
Sono contratti spesso impropri che sostituiscono in modo fittizio un regolare rapporto di lavoro, che non garantisce i lavoratori dal punto di vista previdenziale e assistenziale. Non è pensabile che un lavoratore possa rimanere tutta la vita con un contratto a termine di questo tipo, fingendo che questo sia il suo desiderio e non quello dell’impresa. Un’impresa che assume così, perché ha già nella testa l’idea di licenziare quando vuole, anziché ancorare a sé manodopera qualificata e preziosa per il suo sviluppo, è un’azienda in crisi potenziale.
Il caso dei contratti co.co.co. è quindi solo la punta di un iceberg sotto il quale vi sono molte altre preoccupanti situazioni, che coinvolgono soprattutto le giovani generazioni. Non è un paese civile quello che tiene una grande massa di lavoratori a rischio rispetto al sistema previdenziale, pensionistico e fiscale e allarga di fatto le fratture già esistenti fra giovani e anziani, fra nord e sud e fra lavoratori comunitari e non.
A questo si aggiungono le questioni che coinvolgono il lavoro femminile. In Italia il lavoro femminile è reso più difficile e più precario rispetto ai paesi europei perché vi è un sistema assistenziale e sociale debole che rende pressoché incompatibile a molte donne di essere contemporaneamente madri e lavoratrici.
E’ in questo orizzonte che si colloca la necessità di mettere mano allo Statuto dei lavoratori per modificarlo, per adeguarlo e per trasformarlo in uno Statuto dei lavori, per includere con nuove tutele coloro che ancora non sono sufficientemente tutelati. Così l’arma dello Statuto dei lavoratori ritorna ad essere nelle mani dei lavoratori e non del governo e del padronato a lui più vicino. Ritorna ad essere un obiettivo riformista per nuove conquiste nel mondo del lavoro.
Voglio terminare con una annotazione. Il problema più grande che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni sarà quello comunque del lavoro degli stranieri che già vivono nel nostro paese e che comunque verranno.
Sono per una dura azione del governo contro l’immigrazione clandestina, ma contemporaneamente per favorire in ogni modo l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro tra le imprese e gli immigrati.
Ciò oggi non avviene e la situazione peggiorerà se dovesse passare così com’è la legge sull’immigrazione già in discussione al parlamento. E’ una legge che umilia questi lavoratori e mina la loro dignità in quanto esseri umani e persone.
E’ una legge razzista che peraltro non va incontro neppure agli interessi delle imprese e dell’economia nazionale.
Su questa materia bisogna essere molto chiari. Come voi sapete, qualche mese fa mi sono fatto promotore di un progetto di legge per la regolarizzazione di tutti gli stranieri già in Italia ed in possesso di un lavoro in nero. Si tratta di regolarizzarli nominativamente, obbligando i datori di lavoro a far uscire dal sommerso una grande quantità di lavoratori assunti irregolarmente. E’ una proposta pratica e concreta, fuori dall’ideologismo, dal moralismo e dalle strumentalizzazioni che caratterizzano nel nostro paese il tema dell’immigrazione.
Nei giorni scorsi abbiamo saputo che nella maggioranza di governo ci sarebbe stata una mediazione che ha comportato l’accettazione da parte della Lega di regolarizzare i clandestini e le clandestine che già svolgono in nero funzioni di assistenza agli anziani e lavori domestici. E’ un passo avanti, ma è contemporaneamente uno scandalo che dovrebbe levare le grida congiunte di imprenditori e sindacati.
Questo è un altro modo per dividere il mondo del lavoro, per segmentare, contrapporre e discriminare. Come dire, chi lavora nei servizi sì, chi lavora nell’industria no, chi fa lavori domestici sì, chi fa il meccanico o l’edile no.
Una cosa è certa il modo con il quale verrà affrontato il problema dell’immigrazione e l’integrazione nel mondo del lavoro degli stranieri renderà chiara la differenza tra una politica di sinistra e una politica di destra, esattamente come avvenne 50 anni fa quando i problemi dell’immigrazione coinvolgevano esclusivamente i rapporti tra nord e sud del nostro paese.
Anche per questo le forze politiche vicine al mondo del lavoro dovranno cimentarsi con coraggio. torna indietro »
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|