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  • 12 febbraio 2005 - Intervento al Consiglio Nazionale dello SDI

    Roberto Biscardini
    Intervento al Consiglio Nazionale dello SDI
    Roma – 12 febbraio 2005

    Intendo affrontare alcuni temi che dovremo approfondire meglio dopo il voto delle regionali del 4 aprile.
    1. La prima questione riguarda il significato politico della posizione politica assunta dai DS nel loro congresso nazionale.
    I socialisti che hanno sempre invocato una conversione del Pci, Pds, DS, al socialismo italiano, oggi si trovano di fronte a un fatto nuovo che non possono sottovalutare e che va al di là del puro riconoscimento dei meriti e del ruolo del partito socialista nella storia della sinistra italiana.
    Molti pensavano che ciò non sarebbe mai accaduto, altri hanno sperato che ciò avvenisse attraverso una spaccatura di quel partito ed altri ancora, negli ultimi anni, hanno contato sul fatto che l’opzione riformista dentro il brodo di cultura delle diverse contaminazioni, avrebbe consentito ai DS di non affrontare la questione socialista.
    Oggi le cose non sono più così. Il congresso dei DS ha messo sul tavolo della politica italiana il tema della caratterizzazione socialista della sinistra e questa svolta sembra irreversibile.
    E’ un’iniziativa forte, alla quale non possiamo non rispondere, al di là del ritardo con il quale i DS sono arrivati ad assumere questa posizione e al di là dell’atteggiamento un po’ egemonico e da partito guida con il quale la questione è stata posta.
    La questione è di fondo, perché, piaccia o non piaccia, i DS scelgono la strada della caratterizzazione socialista della sinistra, riscoprono lo spazio politico socialista in un momento in cui, anche noi, troppe volte abbiamo lasciato intendere che la socialdemocrazia non avesse più alcuna prospettiva. Non a caso quando Rutelli se la prese con la socialdemocrazia siamo stati noi i primi a sbeffeggiarlo ritenendo che fosse una battaglia contro i mulini a vento.
    Con questa scelta i DS scelgono una via diversa dal puro rafforzamento del progetto della Federazione riformista e del disegno prodiano. Anzi, questa posizione ha per certi versi spiazzato Prodi, che è obbligato a confrontarsi con il tema del socialismo anche in Italia. Ha spiazzato la Margherita sullo stesso terreno. Ha spiazzato Bertinotti, perché contrappone alla sinistra radicale europea, la sinistra socialdemocratica. E spiazza anche noi. Toglie allo SDI la possibilità di rappresentare da solo nel centrosinistra il riformismo socialista e ci spiazza in quanto sostenitori del partito riformista con a capo Romano Prodi.
    Questa posizione chiude per i DS la questione dell’Ulivo “mondiale” o locale che sia, e potrebbe positivamente influire sul centrodestra, rapportandosi in modo nuovo con quell’elettorato socialista e laico che aveva fatto dell’antisocialismo dei DS una ragione per stare dall’altra parte.
    Esce dal congresso dei DS l’idea non di un generico partito riformista, ma un partito riformista dentro la tradizione del socialismo e della socialdemocrazia europea, che è molto simile alle posizioni emerse dal nostro congresso di Genova.
    Apre la prospettiva di un bipolarismo diverso da quello attuale, per riorganizzarlo in modo più normale ed europeo, nella contrapposizione fra una forza socialdemocratica da una parte e un nuovo centrismo dall’altra.
    Dopo il congresso dei DS dobbiamo cogliere la grande opportunità per riprendere il nostro percorso originario, quello che definimmo nel ’94: difendere nella sinistra una posizione socialista, riunire i socialisti nella prospettiva di riorganizzare una grande forza del socialismo italiano, ristrutturare la sinistra in senso riformista.
    Vedo l’opportunità di un grande salto di qualità, uno scatto di orgoglio, per essere artefici e protagonisti di un processo che è comunque in corso, con una funzione ben precisa ed autonoma: aprire un confronto chiaro a sinistra per favorire un vero processo revisionista nella prospettiva di una politica riformista e socialdemocratica.
    In questo senso la possibilità di dar vita in Italia ad una forza socialdemocratica non è stata un’occasione persa definitivamente nel 1989 quando Craxi e Occhetto non capirono il significato della caduta del muro di Berlino, né è accettabile oggi come allora la profezia prodiana secondo la quale la fine del comunismo avrebbe portato con sé anche in Europa la fine del socialismo.
    Se nel dibattito che si è aperto ci stiamo con convinzione, se crediamo ad un futuro in cui c’è ancora spazio per il socialismo, se siamo noi a difendere quella storia per definire nuovi programmi e nuove risposte alla società, allora abbiamo un ruolo importante e possiamo frenare i pericoli di erosione che diversamente potrebbero manifestarsi.
    Abbiamo il dovere di alzare il tono della politica, parlare più dell’iniziativa socialista e meno di quella riformista, parlare più di partito socialista e meno di Federazione, parlare più del futuro della società che non di Prodi.
    2. La seconda questione riguarda la Fed, sulla quale ci sono ancora molte perplessità e molte ombre. Essa, nell’essere per definizione un “primo passo”, sarà di per sé provvisoria e destinata a finire. Potrebbe non avere davanti a sé una lunga strada e potrebbe persino non essere il nostro principale problema.
    Comunque, oggi nella Fed, che è percepita come l’alleanza sostanziale fra Margherita e DS, il nostro problema non è decidere se starci, ma come starci. La Fed d’altra parte non è un partito unico, ma un’alleanza di partiti nella quale ognuno ci deve stare con la propria identità e le proprie diversità. In essa convivono impostazioni politiche divergenti: la Margherita non vuole morire socialista e i DS hanno invece accentuato questa caratterizzazione.
    Possiamo e dobbiamo starci con una caratterizzazione pari a quella che dimostrano di avere gli altri partiti, marcando se occorre con coraggio le differenze ed evitando di apparire come annessi.
    D’altra parte questa è una condizione obbligata dall’attuale assetto della Fed, che si caratterizza per la competitività e la concorrenzialità fra i partiti che la compongono.
    Al di là dello statuto che sarà votato oggi e al di là della cessione di sovranità (tutta da vedere nei fatti), nella Fed ci sarà competizione non solo sulle strategie, ci sarà sui contenuti, sulla spartizione del potere interno, fino a quella che vedrà i partiti lottare l’uno contro l’altro per conquistare preferenze dentro la lista Uniti nell’Ulivo nelle nove regioni in cui si andrà a votare con questo simbolo.
    3. La prima prova che la Fed dovrà affrontare nei prossimi giorni è il caso Iraq.
    La Fed dovrebbe innanzitutto adoperarsi perché la situazione irachena non venga strumentalizzata per fini interni, per puri calcolo di politica interna sia della maggioranza che dell’opposizione.
    La cosa migliore sarebbe che in Parlamento tutta la coalizione del centrosinistra possa esprimere un voto di astensione e noi dovremmo lavorare per questo obiettivo, non rinunciando all’astensione della sola Federazione riformista, qualora gli altri partiti non accettassero questa proposta.
    Noi dello SDI non abbiamo il problema di confermare con il no una vecchia posizione, perché abbiamo votato no solo l’ultima volta, per senso di responsabilità, per non rompere con il resto della coalizione e soprattutto con la Margherita, che allora impose questa scelta.
    Prima di quel voto ci siamo sempre distinti, astenendoci o non partecipando al voto, assumendo una posizione autonoma fino dall’inizio della vicenda irachena.
    Non dimentichiamoci da dove siamo partiti. Quando il 15 febbraio del 2003 tutta la sinistra scese in piazza a fianco del movimento pacifista, dietro allo slogan “No alla guerra senza se, senza ma”, noi non partecipammo e contrapponemmo lo slogan “Con l’ONU senza se, senza ma”. Oggi per solidarietà con la coalizione non possiamo passare da quella posizione a quella di “Bertinotti senza se senza ma”.
    Votare no oggi, senza un documento che chiarisca bene questa posizione, vuol dire stare dalla parte del ritiro immediato, che dopo il voto del 30 gennaio non ha alcun senso.
    Noi non possiamo abbandonare gli iracheni al loro destino. Siamo per un maggior coinvolgimento dell’Unione Europea, vogliamo rafforzare il ruolo dell’ONU in Iraq e con l’ONU si può ridefinire il senso della nostra presenza. Ma dobbiamo essere onesti: l’ONU con la risoluzione 1546 in Iraq c’è già, perché quella risoluzione ha definito le tappe del processo di democratizzazione, non chiede il ritiro delle forze internazionali e prevede che il mandato della forza multinazionale sia rivisto o dal governo iracheno o direttamente dall’ONU il prossimo 8 giugno.
    Certo noi non siamo per la semplice proroga al finanziamento della missione proposta dal governo, perché ciò non significa nulla, neppure per la maggioranza.
    Dopo il voto del 30 gennaio la situazione è cambiata per noi e per il governo insieme ed è arrivato il momento di guardare all’Iraq non solo per la presenza delle nostre truppe, ma come un grande problema di politica estera, con il quale il governo e l’intera comunità internazionale dovrà fare i conti, confrontandosi in primo luogo con il nuovo governo iracheno.
    4. L’ultima delle questioni riguarda il partito. Nello spazio ristretto dell’attuale fase politica bisogna ritrovare le energie per rilanciare la nostra iniziativa. Bisogna allargare l’area delle responsabilità sia sul terreno della politica che dell’organizzazione. Bisognerebbe fare gruppo, utilizzare, come si dice in gergo, il fattore moltiplicatore e positivo dell’essere team. Allargare l’area dei nostri interlocutori, non chiudere le porte ad una possibile unità socialista nel centrosinistra.
    Ridare fiducia al partito per il futuro e per il presente significa ridare fiducia a tutti i quadri intermedi ed agli iscritti, a coloro che sul territorio sono più esposti agli attacchi e alla competizione con gli altri partiti. Stare nella Federazione non vuol dire che ci sia la pacificazione fra Margherita, DS e noi. Dobbiamo ridare fiducia a tutti coloro che per dieci anni, anche in modo disinteressato, hanno sostenuto l’iniziativa politica dello SDI, hanno faticato perché si realizzasse un progetto socialista, convinti che quello spazio politico c’era e c’è ancora.

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