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  • 15 agosto 2003 Articolo di Roberto Biscardiniper Critica Sociale - Proporzionale senza ipocrisie, parlamentare senza sotterfugi

    Siamo ancora nel bel mezzo del confronto sulle riforme istituzionali. Ci siamo dal 1991 quando i referendari, sostenuti da molti personaggi oggi ben galleggianti nella Seconda repubblica, costruirono le condizioni per il referendum ”manipolativo” del ’93, con ciò si aprì la strada all’elezione del parlamento con il sistema maggioritario e all’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province. E dentro quel dibattito ci siamo ancora.
    Un dibattito lungo e spesso confuso che riflette bene la crisi e la qualità della classe dirigente che ha gestito il passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica e l’incertezza con la quale è governata questa lunghissima fase di transizione.
    Se per il passato la sintesi più eloquente è in una recente affermazione di Emanuele Macaluso “In questi anni si è messo mano alla Carta da destra e da sinistra, e si sono prodotte mostruosità costituzionali”, per il futuro lo scenario non sembra più roseo.
    Il dibattito dell’estate si è riaperto intorno alla bozza di riforma istituzionale della Casa delle Libertà e sul caso dello statuto recentemente approvato del Consiglio regionale della Calabria. Contro quello statuto, figlio dell’autonomia statutaria riconosciuta alle regioni, si sono sollevati tutti, da destra e da sinistra, ministri, partiti e presidenti di regioni, invocando lo status quo alla faccia del tanto sbandierato federalismo.
    Insieme a qualche disquisizioni più dotta abbiamo sopportato un’ulteriore dose di luoghi comuni e ipocrisie, a dimostrazione che sulla vicenda istituzionale prevalgono ancora più le convenienze di parte (ognuno vuole il suo pezzo) che gli interessi generali per il paese e per una democrazia più forte e più rappresentativa.
    Ci sarà tempo nei prossimi mesi per chiarire e per discutere, dentro i partiti, dentro gli schieramenti e tra i poli.
    Io mi limito ad affrontare tre questioni utilizzando, per comodità di ragionamento, l’intervista (che non è certamente la peggiore) rilasciata al Corriere della Sera dell’11 agosto da Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia (e non “governatore” come ormai usano dire tanti faciloni e leccapiedi).
    1. Sul sistema elettorale. Dice Formigoni: “Forza Italia non ha mai parlato di abbandonare il maggioritario”. E poi: “Le elezioni regionali avvengono con il sistema maggioritario, ma è un maggioritario differente rispetto a quello delle politiche. Si può discutere qual’è il sistema migliore”.
    Stante il fatto che per le regionali il sistema per l’elezione dei consigli è proporzionale, reso in qualche modo maggioritario per effetto del premio di maggioranza riconosciuto alla coalizione vincente, si potrebbe intendere che per Formigoni, anche per il parlamento, non sarebbe disdicevole un sistema proporzionale anziché l’attuale maggioritario per collegi uninominali.
    E’ un primo passo avanti per uscire dall’infatuazione del maggioritario, introdotto allora in Italia con l’obiettivo di distruggere i partiti di governo, favorire il riciclaggio di vecchie formazioni politiche e dar vita ad una sistema organizzato intorno a poteri forti ed alla personalizzazione di nuovi leader.
    Ma il proporzionale rimane ovunque nel mondo come sinonimo di democrazia più allargata. E allora? Carlo Lavagna, padre del diritto costituzionale, sosteneva la tesi (oggi diremmo semplicistica) secondo la quale “più ci si avvicina al proporzionale puro, più ci si avvicina alla democrazia; più ci si allontana dal proporzionale puro più ci si allontana dalla democrazia”. E’ una tesi riscoperta da molti autorevoli moderni costituzionalisti che, critici del maggioritario, sposano il proporzionale perché più democratico ed è una tesi condivisa dalla maggioranza dei paesi democratici del mondo. Il proporzionale rappresenta in modo equo il numero dei voti ottenuti da un partito o da un raggruppamento di partiti. Con il proporzionale non può accadere che un partito (o una coalizione) che ottenga la maggioranza relativa dei voti in ogni collegio possa ottenere persino il 100 per cento dei seggi in parlamento. Fa notare Robert Dahl: nei ventidue “paesi a democrazia avanzata” solo tre adottano un sistema elettorale di tipo maggioritario, tutti gli altri si affidano a sistemi proporzionali più o meno corretti.
    Da noi il maggioritario non ha dato i risultati sperati e dopo dieci anni la discussione si è riaperta. Con il maggioritario non si è ridotto il numero dei partiti. Anzi i partiti sono aumentati e il potere di ricatto di quelli più piccoli nelle coalizioni (soprattutto in occasione della spartizione delle candidature nei collegi) è più forte che con il proporzionale. Non si è ridotta l’instabilità dei governi e la conflittualità tra i partiti che compongono le coalizioni. Un proporzionale con sbarramento al 5 per cento ad esempio potrebbe ridurre il numero dei partiti in modo ragionevole e consentirebbe una democrazia più rappresentativa. E’ provato che nei paesi che adottano un sistema elettorale di tipo proporzionale c’è maggiore disponibilità ad accettare le regole della democrazia, ad accettare ruoli di maggioranza e ruoli di opposizione, chi perde si sente meno perdente, non si sente escluso, non vince solo chi vota per il partito di maggioranza, che solitamente rappresenta peraltro una piccola minoranza. Infatti dove si vota con il sistema maggioritario non capita pressoché mai che il partito o la coalizione vincente ottengano la maggioranza dei voti degli aventi diritto. Chirac al primo turno ha ottenuto il consenso di un decimo di elettori francesi e il 90 per cento dei francesi hanno un presidente che non avrebbero scelto. Con il maggioritario (e ciò si è verificato anche in Italia) si registra una continua riduzione del numero dei votanti.
    Basterebbe questo a far ritenere che il passaggio dal maggioritario ad un proporzionale corretto potrebbe essere accolto dall’opinione pubblica molto meglio di come si potrebbe pensare: una novità per nulla impopolare che andrebbe incontro agli interessi dei cittadini.
    2. Sul bipolarismo. Formigoni è drastico, evocando il “diabolico passato” della Prima repubblica (ma lui dov’era?) dice: “l’alterativa non è il ritorno all’indietro e all’inciucio: l’alternativa è un bipolarismo europeo in cui i due schieramenti si legittimano sempre a vicenda e si fronteggiano in campo aperto”. Ma quali sono i caratteri prevalenti del bipolarismo europeo? In Europa il bipolarismo si concretizza nella contrapposizione politica e programmatica tre forze conservatrici e forze socialdemocratiche, indipendentemente dalle forme di governo (parlamentari o semipresidenziali) o dai sistemi elettorali (maggioritari o proporzionali) adottati dai diversi paesi. In Europa il modello bipolare, che si è consolidato in forme diverse, poggia comunque su sistemi multipartitici, ciò vale persino in Gran Bretagna, Francia e Germania e nessuno ha mai pensato di invocare quell’animale rarissimo al mondo che è il bipartitismo. In nessun paese europeo, ad eccezione del nostro, si è pensato di puntare sul bipolarismo per costruire un sistema politico bipartitico. In nessun paese ad fuori dell’Italia si è pensato di usare l’ingegneria istituzionale e i sistemi elettorali per trasformare un sistema politico multipartitico in uno bipartitico.
    Ma il problema oggi è già un altro. Il bipolarismo nel nostro paese non ha ridotto la spinta verso il multipartitismo e non ha prodotto nulla nella direzione del bipartitismo. Il nostro bipolarismo obbliga le forze centrali dei due schieramenti ad allearsi con gli estremi e con le forze più radicali. Obbliga i riformisti a stare con i massimalisti. Con queste forze radicali sia a destra sia a sinistra si possono vincere le elezioni, si può formare delle coalizioni ma, come si è visto nel 1994, 1996 e 2001, non si governa, si litiga e ci si divide e non si garantisce stabilità. Quindi di quale bipolarismo stiamo parlando? Di quale bipolarismo abbiamo bisogno? O quale tripolarismo o multipolarismo sarà possibile nel processo di trasformazione del sistema politico italiano? Al nostro paese manca per prima cosa un sistema politico fondato su forze storicamente credibili e riconoscibili. Mancano forze politiche che non siano il frutto di un lungo processo trasformistico. Manca a destra una moderna forza conservatrice e a sinistra una moderna forza socialista democratica di stampo europeo, mancano solidi partiti che solo il legame con le grandi tradizioni politiche nazionali possono far rinascere. Mancano forze politiche in grado di aggregare intorno a se non tanto gli estremi (il nostro bipolarismo) quanto altre forze politiche più vicine e più omogenee, per costruire alleanze di governo più stabili e più sicure.
    Una cosa ormai è certa, una moderna democrazia dell’alternanza (alla quale nessuno di noi vuole rinunciare) può vivere benissimo in un sistema multipartitico e un sistema bipolare può convivere bene con un sistema elettorale proporzionale. Un sistema con più partiti, se i partiti hanno un storia e una credibilità, può apparire anche nel nostro paese come negli altri come un sistema più ricco, come una risorsa e non come un difetto. Un sistema con più partiti è espressione di una democrazia più forte e di un pluralismo ad immagine e somiglianza della moderna complessità sociale. La semplificazione in politica non è di per sé un valore. Un sistema con più partiti appare nelle moderne democrazie più giusto e persino più normale.
    3. Sulla elezione diretta dei Presidenti delle Regioni, che considero come uno dei più gravi errori introdotti con la modifica costituzionale del 1999, con il consenso unanime del centrodestra e del centrosinistra (ad eccezione di Rifondazione comunista), Formigoni dice: “Io credo che si debba assolutamente mantenere l’elezione diretta del presidente. Si possono però prevedere due eccezioni alla regola secondo la quale se viene a mancare il presidente bisogna andare a nuove elezioni: il caso di morte e quello di incompatibilità. Se il presidente viene nominato ministro, per esempio, il nuovo presidente potrebbe essere eletto dal consiglio, magari fra i membri del listino bloccato.” E così siamo a posto. Se Formigoni dovesse fare il ministro, con questa norma, bontà sua il Consiglio non andrebbe a casa. Ma al di là delle riforme fatte per sé, il tema più generale riguarda l’elezione diretta dei presidenti o no. Riguarda il presidenzialismo o no.
    Non ha caso Formigoni contesta la proposta della Calabria (indicazione sulla scheda di un presidente e di un vice che diventa presidente in caso di suo impedimento), non per la sostanza (per la verità non molto diversa dalla sua), ma perché la Calabria con più coerenza e in modo più nobile, di fronte alla necessità logica di salvare l’autonomia del Consiglio regionale in caso di impedimento del presidente ha scelto la via maestra di rinunciare all’elezione diretta del presidente, oggi legata a filo doppio con la vita del consiglio.
    L’attuale sistema regionale, né presidenziale né parlamentare, con elezione diretta del presidente e contestuale elezione del consiglio attraverso il metodo proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione vincente, condiziona la vita dei consigli a quella dei presidenti, vincola e sottomette il potere legislativo alle sorti dell’esecutivo.
    E’ un ibrido costituzionale, una mostruosità che non esiste in nessuna altra parte del mondo, fatta passare come presidenzialismo, “all’americana”, che piace tanto ai presidenti delle giunte solo perché ha consentito loro di aumentare in modo sproporzionato il loro potere politico e di governo. Ma le cose nemmeno in America stanno così. Nel sistema americano, unico al mondo, non c’è l’obbrobrio che c’è nelle regioni italiane. C’è una netta separazione dei poteri. L’elezione del presidente è distinta da quella delle assemblee. Il presidente non può essere sfiduciato, non ha il potere di iniziativa legislativa e non è certamente membro del Congresso.
    La separazione è così forte che agli organi dell’esecutivo è fatto persino divieto di entrare nelle aule delle assemblee. Per non parlare del diversissimo sistema elettorale.
    L’esperienza regionale in Italia (tutta farina del nostro sacco) in soli due anni ha messo in evidenza la pericolosità di questo sistema e i caratteri di “dittatura della maggioranza” che essa contiene. Invece che separati il potere esecutivo e quello legislativo sono entrati in perenne conflitto. Il presidente invece di fare il suo mestiere sotto il controllo democratico del consiglio è in condizione di ricattarlo (o fai quello che dico io o ti mando a casa), piega il potere legislativo agli interessi anche parziali e contingenti dell’esecutivo.
    La questione è quindi questa: se si sceglie il sistema presidenziale i poteri devono essere distinti, l’elezione del presidente deve essere separata da quella dell’assemblea legislativa, si devono ammettere e persino auspicare che le maggioranze del presidente siano diverse dalla maggioranze parlamentari, non può esistere nessun premio di maggioranza, il proporzionale è puro semmai corretto da una quota di sbarramento.
    In sintesi.
    1. Meglio il proporzionale che il maggioritario. Si abbia il coraggio di scegliere per l’elezione del parlamento nazionale e dei consigli regionali un sistema elettorale proporzionale, quello già oggi in vigore nel maggior numero dei “paesi a democrazia avanzata” del mondo.
    2. Meglio un sistema con più partiti che un sistema bipartitico. L’Europa insegna che si può ottenere in sistema bipolare anche attraverso forme di governo parlamentare e sistemi politici multipartito. Non si confonda bipolarismo con il bipartitismo. I partiti cambieranno, ed è bene che accada, ma una democrazia ricca si fa rappresentare da più forze politiche.
    3. Meglio un sistema parlamentare che uno presidenziale. Non si mescolino forme di governo presidenziale con forme di governo parlamentare. Evitare le ibridazioni dice Dahrendorf. Se si sta nel sistema parlamentare bisogna starci senza sotterfugi. Si possono rafforzare i poteri del primo ministro, del cancelliere o dei presidenti, comunque sia il presidente è eletto dal parlamento, c’è la fiducia e la sfiducia, magari costruttiva ma c’è. Se si scegli il sistema presidenziale, l’elezione diretta del presidente deve essere distinta da quella dell’elezione del parlamento, la maggioranza che esprime il presidente può essere diversa dalla maggioranza che esprime il parlamento, non esiste nel modo più assoluto un premio di maggioranza alla cosiddetta coalizione vincente.
    Per il bene della nostra democrazia meglio un sistema parlamentare, con elezioni proporzionali, meglio un sistema di tipo tedesco piuttosto che lo strano sistema presidenziale americano. Il premierato all’inglese, di cui tanto si parla oggi, non sembra invece, per ragioni politiche, il riferimento più adattabile alla situazione italiana.

    Agosto 2003

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