Mondoperaio
Associazione Riaprire i Navigli


  • 23 giugno 2005 - Milano, Intervento al seminario ”Giuseppe Mazzini”

    Prendo per buona la richiesta di rispondere subito a Unnia su una provocazione che considero interessante. La debolezza più evidente delle posizioni che si richiamano alla tradizione del socialismo democratico italiano, ma più in generale della sinistra, è oggi quella di non avere un progetto credibile in grado di chiarire quale modello di società si intende costruire e rappresentare. Un progetto di sistema, una vera svolta, ed insieme una risposta ai problemi più urgenti dei cittadini e delle popolazioni. Un progetto che va oltre il tema pur fondamentale della democrazia parlamentare e delle modalità con cui la democrazia parlamentare può renderlo efficace, ma certamente la contiene.
    Ringrazio Critica Sociale per l’occasione dell’incontro di oggi e dell’opportunità che ci dà di discutere partendo dal pensiero e dall’azione di Giuseppe Mazzini.
    L’interesse per la sua figura, storicizzando, riguarda il significato che Mazzini ha dato alla battaglia per la costruzione di uno Stato repubblicano, come strumento per il raggiungimento degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità.
    L’attenzione fondamentale al valore della sovranità popolare, della democrazia quindi, come fattore decisivo per la costruzione di giustizia sociale e premessa di qualunque forma di ridistribuzione della ricchezza. L’Europa come vocazione di libertà e di solidarietà.
    Mazzini, non catalogabile nello schema classico fra destra e sinistra, è quindi personalità interessante anche oggi per essere stato anticipatore di cultura socialista e liberale, di politiche socialdemocratiche e liberaldemocratiche, con entusiasmo rivoluzionario non marxiano. Le parole d’ordine che Mazzini ci trasmette hanno quindi uno spessore rivoluzionario che ci riporta all’entusiasmo rivoluzionario di molta cultura democratica e riformista. Ciò mi consente di fare un cenno, per essere stato lombardiano per anni, a Riccardo Lombardi, che avendo dato un contributo fondamentale alla storia del riformismo e del socialismo italiano, si poteva considerare a ragione un riformista rivoluzionario. Le sue riforme di struttura gli consentirono di essere l’interprete di un riformismo così forte da non essere mai confuso né con certo moderatismo né come espressione di una politica della destra della sinistra.
    In questo quadro il progetto che la sinistra deve darsi passa attraverso la capacità di una grande operazione revisionista, non solo dei post-comunisti, ma anche dei socialisti che, se pur in minima parte, sono stati comunque portatori anche in Italia di posizioni classiste.
    Da lombardiano posso permettermi di ricordare proprio Riccardo Lombardi, che in un articolo del ’59 sull’Avanti giudicava il congresso di Bad Godesberg in modo molto critico. Un giudizio sprezzante nei confronti del cambiamento della politica socialdemocratica tedesca di allora, giudicando quel congresso una vera “involuzione”.
    Solo attraverso un processo revisionistico profondo si potrà definire un progetto socialista nell’interesse di tutta la sinistra.
    Dare alla sinistra un progetto socialista non è un problema solo di chi in Italia è stato socialista, iscritto al PSI o di chi si è riconosciuto in Europa nelle tradizioni della socialdemocrazia. La questione socialista riguarda la società e con ciò tutta la sinistra che punta al cambiamento.
    Si tratta di dare forma ad un nuovo progetto socialista, definendone le politiche e i contenuti delle lotte necessarie per realizzarlo.
    Guardiamo la grave crisi economica che stiamo attraversando, figlia di errori compiuti anche dalla sinistra, sia per quello che si è fatto nell’azione di governo sia per la timidezza con cui è stato fatto. Il passaggio dall’economia protetta all’economia competitiva non si è compiuto. Oggi siamo in grave difficoltà e si è cambiato, ma nella direzione sbagliata. Si è privatizzato tutto ma non si è liberalizzato niente. Il mercato e le privatizzazioni non hanno creato sviluppo, le tutele non sono aumentate e l’economia è rimasta portatrice di protezioni e non di libertà. Qui a Milano, discutere di questi argomenti, per i socialisti è semplice.
    La maggioranza di coloro che hanno espresso ed esprimono una cultura socialista, anche dopo la diaspora del ’94, coloro che non hanno fatto più attività politica e dalla politica sono rimasti fuori, ma non hanno abbandonato la convinzione che essere socialisti significa essere liberali sul terreno dei diritti e dell’economia e socialdemocratici sul terreno della giustizia e giustizia sociale.
    E’ questo modo di essere liberali e socialisti insieme, già patrimonio della cultura del socialismo italiano, che ha bisogno di essere ridefinito guardando avanti, perché possa appartenere presto, attraverso il necessario processo revisionistico, non solo a coloro che sono socialisti, ma anche alla maggioranza della sinistra.
    Potrei dirla così: la destra non ha un progetto liberale, la sinistra non ha ancora un progetto socialista e liberalsocialista.
    Oggi infatti ci troviamo di fronte in Italia ad un processo di indebolimento complessivo dovuto a tanti fattori, ma buona parte di questa crisi è figlia dei cambiamenti introdotti con la Seconda repubblica. Il cambiamento delle regole democratiche e l’idea che tutto ciò che non funzionava prima si sarebbe risolto introducendo il bipolarismo. Un bipolarismo personalizzato che doveva distruggere i partiti, che doveva costruirne altri non ancorati alle grandi tradizioni politiche del ‘900, che doveva annullare le ideologie mettendo la politica nelle mani della società civile di destra e di sinistra.
    Dopo quindici anni il problema più grande è quindi quello della democrazia agonizzante, è quello della crisi delle istituzioni che insieme alla grande crisi economica e finanziaria del paese, è crisi di sistema.
    C’è contemporaneamente crisi della democrazia diretta e crisi della democrazia rappresentativa. Ciò crea sfiducia e rende evidente la debolezza della classe dirigente e della politica nel suo complesso. Alle prossime elezioni politiche il centrosinistra potrebbe vincere, l’opinione pubblica ne è consapevole, ma la sensazione spiacevole è che questo potrebbe avvenire non perché il centrosinistra possiede un progetto forte e alternativo, ma solo perché la destra ha fallito il suo compito. Il problema che appare più grave è che, senza una nuova capacità di iniziativa politica, il centrosinistra, la sinistra e tutte le sue componenti proseguono senza avere un progetto che faccia capire qual è il modello di società e qual è il sistema democratico a cui ci si vuole riferire.
    L’ultima considerazione riguarda l’Europa e in modo particolare la socialdemocrazia europea, la sua capacità di rinnovarsi e la sua capacità di rispondere alle nuove sfide. Abbiamo vissuto in questo ultimo decennio una fase nella quale la sinistra e persino i socialisti hanno messo da parte la questione socialdemocratica. Molti hanno pensato, e in qualche modo persino teorizzato, che la socialdemocrazia non potesse essere più in grado di dare risposte positive alle esigenze della collettività e dei cittadini europei. Alcuni la considerano un’occasione persa. Persa nell’89 quando Craxi e Occhetto non capirono che bisognava affrontare la crisi del comunismo e la caduta del Muro di Berlino con coraggio, in modo unitario, scegliendo la strada della socialdemocrazia. Molti considerano la socialdemocrazia non più un punto di riferimento al quale appoggiarsi per dare risposte moderne. Molti hanno considerato le sue naturali crisi cicliche nazionali, come crisi definitive e irreversibili. Un errore dietro l’altro e così si è perso molto tempo a discutere di contenitori anziché di contenuti, a discutere di riformismo, non distinguendolo dal riformismo socialista e confondendo il mezzo con il fine.
    Ecco perché mi sembra giusto, anche in questa sede, riproporre il tema della questione socialdemocratica come problema fondamentale della sinistra e dei socialisti.
    Se l’obiettivo, che io ritengo ancora valido, è quello di ricostruire in Italia una forza socialista autonoma, il primo passo è riunire i socialisti e dar vita ad una forza di unità socialista, che possa poi contaminarsi con chi ci sta per realizzare un progetto socialista della sinistra nell’alveo della socialdemocrazia europea. Rivista e corretta come insegna Blair, ma socialdemocrazia. Le risposte saranno diverse rispetto a quelle date dalla socialdemocrazia tradizionale, ma starne fuori significa finire nell’oblio del “liberalismo sociale” e nell’oblio di quel generico riformismo di cui tutta l’Italia si è riempita la bocca in questi ultimi dieci anni.
    Ma Bobbio diceva che quando tutti si dichiarano riformisti il riformismo è morto. C’è spazio quindi per un progetto socialdemocratico e liberaldemocratico, che cresce da un processo revisionistico della sinistra italiana? E’ la domanda che giro a qualcun altro.

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